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Tacito
De oratoria,21
 
originale
 
[21] Equidem fatebor vobis simpliciter me in quibusdam antiquorum vix risum, in quibusdam autem vix somnum tenere. Nec unum de populo Canuti aut Atti . . . de Furnio et Toranio quique alios in eodem valetudinario haec ossa et hanc maciem probant: ipse mihi Calvus, cum unum et viginti, utpar puto, libros reliquerit, vix in una et altera oratiuncula satis facit. Nec dissentire ceteros ab hoc meo iudicio video: quotus enim quisque Calvi in Asitium aut in Drusum legit? At hercule in omnium studiosorum manibus versantur accusationes quae in Vatinium inscribuntur, ac praecipue secunda ex his oratio; est enim verbis ornata et sententiis, auribus iudicum accommodata, ut scias ipsum quoque Calvum intellexisse quid melius esset, nec voluntatem ei, quo [minus] sublimius et cultius diceret, sed ingenium ac vires defuisse. Quid? Ex Caelianis orationibus nempe eae placent, sive universae sive partes earum, in quibus nitorem et altitudinem horum temporum adgnoscimus. Sordes autem illae verborum et hians compositio et inconditi sensus redolent antiquitatem; nec quemquam adeo antiquarium puto, ut Caelium ex ea parte laudet qua antiquus est. Concedamus sane C. Caesari, ut propter magnitudinem cogitationum et occupationes rerum minus in eloquentia effecerit, quam divinum eius ingenium postulabat, tam hercule quam Brutum philosophiae suae relinquamus; nam in orationibus minorem esse fama sua etiam admiratores eius fatentur: nisi forte quisquam aut Caesaris pro Decio Samnite aut Bruti pro Deiotaro rege ceterosque eiusdem lentitudinis ac teporis libros legit, nisi qui et carmina eorundem miratur. fecerunt enim et carmina et in bibliothecas rettulerunt, non melius quam Cicero, sed felicius, quia illos fecisse pauciores sciunt. Asinius quoque, quamquam propioribus temporibus natus sit, videtur mihi inter Menenios et Appios studuisse. Pacuvium certe et Accium non solum tragoediis sed etiam orationibus suis expressit; adeo durus et siccus est. Oratio autem, sicut corpus hominis, ea demum pulchra est, in qua non eminent venae nec ossa numerantur, sed temperatus ac bonus sanguis implet membra et exsurgit toris ipsosque nervos rubor tegit et decor commendat. Nolo Corvinum insequi, quia nec per ipsum stetit quo minus laetitiam nitoremque nostrorum temporum exprimeret, videmus enim quam iudicio eius vis aut animi aut ingenii suffecerit.
 
traduzione
 
21. ?Quanto a me, vi confesser? francamente che con certi oratori antichi faccio fatica a non ridere e con certi altri a non dormire. E non parlo di uno qualunque, un Canuzio o un Attio, per non dire di un Furnio o di un Toranio e di quanti altri nel medesimo ospedale possono esibire solo pelle e ossa: lo stesso Calvo, che pure ha lasciato, se non sbaglio, ben ventun libri, mi soddisfa a malapena in uno o due dei suoi discorsetti. E vedo che gli altri non dissentono dalla mia valutazione: quanti sono, infatti, quelli che leggono i discorsi di Calvo contro Asicio o contro Druso? Invece i discorsi di accusa Contro Vatinio, e particolarmente il secondo, vanno per le mani di tutte le persone che studiano: perch? ? splendido nella forma e ricco di idee, oltre che rispondente al gusto dei giudici, sicch? ci si pu? rendere conto che lo stesso Calvo sapeva cosa fosse il meglio e che, se non parl? in modo pi? elevato ed elegante, non fu perch? non lo volesse, ma per mancanza di talento e di forza. E Celio? Non c'? dubbio che dei suoi discorsi piacciono, per intero o in parte, quelli in cui riconosciamo i modi raffinati e lo stile elevato cari al nostro tempo. Peraltro il linguaggio smorto, il periodare spezzato e disarmonico puzzano di vecchio, e non credo che ci sia alcuno cos? amante dell'antichit? da apprezzare Celio per la parte in cui ? antiquato. Possiamo perdonare a Giulio Cesare se, per i suoi vasti disegni e le attivit? che lo assorbivano, si ? espresso nell'eloquenza meno di quanto il suo divino ingegno consentisse; e cos? pure possiamo lasciare Bruto alla sua filosofia, visto che anche i suoi ammiratori ammettono che come oratore ? stato inferiore alla sua fama. E non mi si dica che qualcuno oggi legge il discorso di Cesare in difesa di Decidio Sannita o quello di Bruto a favore del re Deiotaro e gli altri testi altrettanto lenti e privi di calore, fatta eccezione per quelli che ammirano anche i loro versi. Perch? hanno composto anche dei versi e li hanno posti nelle biblioteche: non migliori di quelli di Cicerone, ma pi? fortunati, perch? sono in meno a sapere che li hanno scritti. Pure Asinio, anche se la sua nascita ? pi? vicina a noi, mi d? l'impressione di aver studiato in compagnia dei Menenii e degli Appii. In ogni caso, non solo nelle tragedie ma anche nei discorsi, ha riprodotto Pacuvio e Accio: tanto ? rigido e secco. Orbene, il discorso ? come il corpo umano: ? bello, quando le vene non risaltano e non si contano le ossa, ma quando un sangue puro e sano riempie le membra e gonfia i muscoli e il colorito non lascia neanche trasparire i nervi e la grazia abbellisce il tutto. Non voglio attaccare Corvino: non ? colpa sua se non ha potuto esprimere lo splendido rigoglio del tempo presente; d'altra parte, noi vediamo fino a che punto la forza del suo spirito e del suo talento siano stati all'altezza delle sue capacit? intellettuali.?
 

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